La Corte Costituzionale con Sentenza 5 giugno 2015, n. 96 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 40/2004 nella parte in cui vieta l’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto alle coppie con gravi patologie genetiche trasmissibili al nascituro (artt. 1, c. 1 e 2, e 4, c. 1).

Orbene, la Consulta ha fatto una scelta che riconduce a piena coerenza e unitarietà il sistema raccordando L. 40/04 con L. 194/78. La questione del diritto delle coppie fertili ma portatrici di patologia genetica trasmissibile cui era precluso l’accesso alla diagnosi genetica di pre-impianto viene risolta uniformando i diritti di queste coppie con quelli delle coppie che ricorrono all’interruzione volontaria della gravidanza dopo il 3° mese.

Viene dunque confermata la gerarchia dei diritti fondamentali della persona che vede al vertice la tutela del diritto alla salute della donna (e della coppia), il diritto di procreare e costituire una famiglia come scelta privata che non ammette ingerenze del legislatore e viene censurata l’irragionevolezza e l’illogicità della previsione che non consentiva a queste coppie di accedere alla PMA e alla PGD.

La Corte rileva che il divieto generalizzato di accesso alla PMA da parte di coppie fertili portatrici di patologia genetica trasmissibile di rilevanti anomalie o malformazioni al nascituro viola le previsioni costituzionali di cui agli artt. 3 e 32 cost

Segnatamente all’art 3 la Consulta rileva un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell’indiscriminato divieto di accesso alla PMA e PGD da parte di tali coppie “E ciò in quanto, come sottolinea anche la Corte di Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia, il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali – quale consentita dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 quando, dalle ormai normali indagini prenatali, siano, appunto «accertati processi patologici relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna“.

Segnatamente all’art 32 cost. la Corte rileva “il mancato rispetto del diritto alla salute della donna, senza peraltro che il vulnus, così arrecato a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale sarebbe comunque esposto all’aborto”.