La riforma Cartabia ha introdotto profonde modifiche anche in ambito di diritto di famiglia. Vediamo alcuni aspetti di carattere processuale.

L’articolo 473 bis. 21 c.p.c. disciplina l’udienza di comparizione delle parti, stabilendo che ove il ricorrente non compaia ed il resistente non chieda di procedere in sua assenza, il procedimento si estingue. Qualora sia la parte convenuta a non costituirsi, il giudice deve verificare, come sempre, la regolarità dell’instaurazione del contraddittorio e quindi, se rilevasse un vizio nella notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza oppure la tardività della stessa, concederà all’attore un termine per il rinnovo della notifica.

L’ingiustificata mancanza della parte costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’articolo 116 comma 2 c.p.c. e ai fini della regolamentazione delle spese di lite. Nei casi in cui siano allegate o segnalate violenze di genere o domestiche, la comparizione deve avvenire separatamente e in orari differiti e il tentativo di conciliazione non viene esperito, secondo quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul. Le parti hanno l’onere di comparire personalmente all’udienza posto che la prima udienza è destinata all’ascolto delle parti per il tentativo di conciliazione, dovendo il giudice – ed è questa la novità della riforma - formulare una motivata proposta conciliativa della controversia.

Se la conciliazione riesce, il giudice emette con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti nei limiti delle domande proposte, e dei figli; se la conciliazione non riesce, la causa è rimessa in decisione. Così stabilisce l’articolo 473 bis. 22 c.p.c. norma che concentra in capo al giudice poteri sia di natura decisoria, attraverso l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti, sia poteri istruttori e di valutazione di ammissione dei mezzi di prova. Il contenuto dei provvedimenti è vincolato alle domande proposte dalle parti solo se le riguardino direttamente, mentre rispetto ai figli, il giudice ne può prescindere, in deroga agli articoli 99 e 112 c.p.c., posto che con riferimento ai diritti dei minori occorre ricordare che questi hanno natura indisponibile. Ai sensi dell’articolo 473 bis. 50 c.p.c., il giudice quando adotta i provvedimenti temporanei ed urgenti, indica anche le informazioni che ciascun genitore deve comunicare all’altro e può formulare una propria proposta di piano genitoriale, anche discostandosi, in virtù dei propri poteri officiosi, da quello depositato dai genitori i quali, una volta accettato, lo devono adempiere. In caso di inadempimento, il giudice può modificare il provvedimento e condannare la parte ad una delle sanzioni previste dall’articolo 473 bis.39 c.p.c.

Quanto alla decorrenza dei contributi economici, qualora vengano adottati dal giudice, occorre che ne sia fissata la decorrenza con facoltà di individuare la stessa anche nella data di proposizione della domanda giudiziale. Le ordinanze temporanee e urgenti sono titoli esecutivi: pertanto, in caso di inadempimento è possibile esperire l’esecuzione forzata, restando, comunque, efficaci fino a quando non vi è un nuovo provvedimento. L’articolo 473 bis. 23 c.p.c. prevede, infatti, la modificabilità e revocabilità dei provvedimenti temporanei ed urgenti, in senso analogo a quanto era previsto dall’ articolo 709 c.p.c., ora abrogato dall’articolo 3, comma 49, lettera a), Dlgs 10 ottobre 2022, n. 149. Tale modifica ha preso atto di quanto previsto dall’articolo 1 comma 23 lettera u) della legge 206 del 2021: pertanto, i provvedimenti temporanei e urgenti possono essere modificati o revocati in presenza di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori. Avranno quindi, rilievo ai fini della revoca e /o della modifica dei provvedimenti temporanei, le sopravvenienze di natura sostanziale ovvero processuale, profilo questo che in passato la giurisprudenza di merito non risolveva sempre in maniera univoca. L’articolo 473 bis. 24 c.p.c. prevede quanto già previsto dal vecchio articolo 708, 4 comma, c.p.c., pure abrogato, in merito alla reclamabilità dei provvedimenti presidenziali: i provvedimenti provvisori sono reclamabili dinanzi alla corte d’Appello entro il termine perentorio di 10 giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza ovvero della comunicazione.

Grande importanza deve essere tributata alla previsione della reclamabilità anche dei provvedimenti temporanei emessi in corso di causa che: 1. sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale; 2. prevedono modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori; 3. dispongono l’affidamento dei minori a soggetti diversi dai genitori. Tali provvedimenti per la loro natura non soltanto sono reclamabili in corte d’appello – l’originaria intenzione era orientata verso una generale reclamabilità di fronte al tribunale, del cui collegio ovviamente non avrebbe dovuto far parte il giudice che aveva emanato il provvedimento impugnato – , ma sulla decisione resa in sede di reclamo, è proponibile ricorso per cassazione ex articolo 111 della Costituzione: è stato così accolto un orientamento già presente nella giurisprudenza di legittimità che ha più volte affermato che l’emissione dei provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, incide su diritti di natura personalissima e di rango costituzionale, tenuto conto del potenziale concreto mutamento della sfera relazionale primaria dei soggetti che ne sono coinvolti. La circostanza che i provvedimenti de potestate possano, in teoria, essere modificati o revocati con effetti ex tunc non era idonea a proteggere il minore al riparo dagli effetti nefasti che possano prodursi nell’ambito delle relazioni familiari, sicchè, la tesi tradizionale che, ritenendoli non decisori e definitivi, esenta siffatti provvedimenti dall’immediato controllo garantistico della Corte di legittimità, comporta un vulnus al diritto di difesa e va, dunque, superata. (Cassazione civile, S.U., sentenza 13 dicembre 2018, n. 32359).

Con la stessa ordinanza con la quale si assumono provvedimenti temporanei, il giudice, se non ammette prove, rimette la causa in decisione alla stessa udienza o su istanza di parte ad una successiva. Per quanto riguarda la fase decisoria, come indicato dall’articolo 1, comma 23, lettera z) della legge delega, l‘articolo 473 bis. 28 c.p.c. stabilisce che il giudice, esaurita l’istruzione, fissi davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione e assegni alle parti un termine di:• 60 giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni;• ulteriori termini di 30 giorni prima dell’udienza, per il deposito delle comparse conclusionali;• 15 giorni prima dell’udienza per le memorie di replica. All’udienza la causa è posta in decisione dal giudice relatore che si riserva di riferire al collegio e la sentenza è depositata in cancelleria nel termine di sessanta giorni successivi all’udienza.

La riforma non manca di intervenire in modo significativo in relazione a due distinti profili, quello delle metodologie da utilizzare all’interno della consulenza tecnica, e quello dei presupposti per l’emanazione di provvedimenti giudiziali particolarmente invasivi nella vita del minore. Dal primo punto di vista, la legge delega ha invitato il legislatore delegato (articolo 1, comma 23, lettera b, legge n. 206/2021) a prevedere “…che, qualora il giudice ritenga di avvalersi dell’ausilio di un consulente, procede alla sua nomina con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere; il consulente del giudice eventualmente nominato si attiene ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli stessi”; il tutto nella cornice di una complessiva rivisitazione della normativa sulla consulenza tecnica psicologica e di una “autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica, anche con l’inserimento nell’albo dei consulenti tecnici d’ufficio di indicazioni relative alle specifiche competenze” (articolo 1, comma 23, lettera dd, legge n. 206/2021).

Dal secondo punto di vista, la riforma ha voluto chiarire che per l’attuazione dei provvedimenti di natura personale riguardanti i minori (come quelli in tema di affidamento), l’utilizzo della forza debba essere perimetrato entro precisi confini e assoggettato a severe condizioni, e comunque, per quanto possibile, limitato. Emblematico al riguardo è il disposto del nuovo articolo 473-bis.38, comma 5, c.p.c., in forza del quale “Il giudice può autorizzare l’uso della forza pubblica, con provvedimento motivato, soltanto se assolutamente indispensabile e avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore. L’intervento è posto in essere sotto la vigilanza del giudice e con l’ausilio di personale specializzato, anche sociale e sanitario, il quale adotta ogni cautela richiesta dalle circostanze”. In questo modo, viene sancito a livello legislativo un principio fondamentale, ossia, che nei processi della crisi familiare la decisione non deve tanto sanzionare i comportamenti pregressi, quanto piuttosto individuare il provvedimento più adatto per assicurare al minore una crescita sana ed equilibrata. In attuazione di tali principi, è stato quindi introdotto il nuovo articolo 473-bis.25 c.p.c., rubricato “Consulenza tecnica d’ufficio“, ai sensi del quale «Quando dispone consulenza tecnica d’ufficio, il giudice precisa l’oggetto dell’incarico e sceglie il consulente tra quelli dotati di specifica competenza in relazione all’accertamento e alle valutazioni da compiere.»

Significativa è la previsione del secondo comma relativa agli accertamenti sulle competenze genitoriali: nella consulenza tecnica, le indagini e le valutazioni relative alla responsabilità genitoriale non possono dipendere da teorie prive di fondamento scientifico. Emblematico il caso della sindrome di alienazione parentale. Si prende così atto delle indicazioni più recenti espresse dalla Suprema Corte che ha affermato che il ricorso nelle CTU al concetto di “abuso psicologico”, allusivo della sindrome PAS, in quanto difficilmente riconducibile ai “parametri diagnostici della scienza medica”, appare “illegittimo” nel momento in cui produce l’effetto distorsivo di indurre provvedimenti “gravemente incisivi sulla vita dei minori” (Cass. civ., Sez. I, ord., 24 marzo 2022, n. 9691).L’articolo 473 bis. 26 c.p.c. fa proprie le prassi invalse in diversi tribunali attraverso le quali, il giudice, su richiesta congiunta delle parti, per intervenire sulle situazioni di conflitto familiare, nomina uno o più ausiliari che svolgono una funzione di sostegno per il recupero di un equilibrio fra genitori e figli. La stessa relazione illustrativa prevede che tale nomina può essere effettuata dal giudice, pur in assenza di condotte gravemente pregiudizievoli del genitore e quindi, in quelle situazioni in cui “sono diradati o interrotti i rapporti genitori -figli ovvero un figlio sia in tenera età ed emergano resistenze da parte del genitore convivente a consentire a libere frequentazioni da parte dell’altro, giudicato inidoneo all’accudimento, ovvero anche alle ipotesi non infrequenti, in cui minori adolescenti abbiano difficoltà di relazione con l’esterno anche a causa della vicenda separatista che ha coinvolto il nucleo familiare.”

L’articolo 473 bis. 29 c.p.c. disciplina l’intervento dei servizi sociali o sanitari nei procedimenti a tutela dei minori, cosa non infrequente e foriero di aspetti problematici: in tal caso, quando dispone l’intervento dei servizi sociali o sanitari, il giudice deve indicare in modo specifico l’attività ad essi demandata e fissare i termini entro cui i servizi sociali o sanitari devono depositare una relazione periodica sull’attività svolta, nonché quelli entro cui le parti possono depositare memorie. In attuazione della delega, si richiede di tenere distinti, nelle relazioni, i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le eventuali valutazioni formulate dagli operatori che, ove aventi oggetto profili di personalità delle parti, devono essere fondate su dati oggettivi e su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare nella relazione. Le parti possono prendere visione ed estrarre copia delle relazioni e di ogni accertamento compiuto dai responsabili del servizio sociale o sanitario incaricati, trasmessi all’autorità giudiziaria, salvo che la legge non disponga diversamente. L’articolo 473 bis. 29 c.p.c. stabilisce che le parti possono chiedere in ogni tempo come già era previsto dall’articolo 710 c.p.c. e dall’articolo 9 Legge 1 dicembre 1970 n. 898, la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici: il procedimento non segue più come prima il rito camerale puro, e ovviamente da ciò ne consegue, una dilatazione delle garanzie processuali per le parti.