È trascorso un ventennio, ma non sono ancora esaurite le polemiche e le vertenze con le banche per la vendita di bond argentini alla clientela retail. Con numerose pronunce la Cassazione ha meglio cristallizzato il quadro dei diritti dei risparmiatori mettendo al centro sempre gli obblighi informativi gravanti sugli intermediari.

La Suprema Corte (con l’ordinanza n. 8212/2020) ha respinto il ricorso della Banca polare di Vicenza (posta in liquidazione nel 2017) contro la decisione della Corte di appello di Firenze che aveva disposto la risoluzione per inadempimento di due contratti di acquisto di obbligazioni sud americane, il primo nel ’97 e il secondo nel 2000, da parte di un bancario.

“Appare del tutto irrilevante – si legge nella decisione – il fatto che uno dei clienti fosse dipendente di banca, posto che tale qualifica non implica una particolare conoscenza del mercato e dei prodotti finanziari”. “Né – aggiunge la Corte in un altro passaggio decisivo – l’esperienza dei clienti poteva fondarsi sul pregresso acquisto del medesimo titolo nel 1997″. Nessuna efficacia sanante rispetto alle carenze informative – prima fra tutte la mancata indicazione del rating: “elemento basilare di ogni investimento in prodotti finanziari” – può derivare dunque dall’aver semplicemente ripetuto un investimento già fatto in precedenza.

La Suprema Corte ha così accolto l’appello incidentale dei risparmiatori contro la decisione di 2° grado che invece aveva dichiarato “non grave” il primo inadempimento informativo (del 1997), con la motivazione che gli investitori a tre anni di distanza avevano di nuovo acquistato titoli della stessa specie. Per la Cassazione però “non può farsi discendere dal successivo acquisto delle obbligazioni argentine, avvenuto diversi anni dopo la prima operazione, la mancanza di gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c in relazione al primo negozio, a fronte della accertata violazione degli obblighi di informazione e di valutazione di adeguatezza dell’operazione rispetto al profilo ed agli obiettivi degli investitori”. Si legge ancora: “non può inferirsi la non scarsa importanza dell’inadempimento dell’intermediario dal solo fatto che il cliente abbia nuovamente acquistato obbligazioni argentine a distanza di alcuni anni”. Mentre il fatto che nel 1997 le indiscrezioni sul possibile default dell’Argentina non fossero ancora diffuse “non attenua la violazione del dovere di informazione in capo alla banca che ha, in ogni caso, omesso di dare un’informazione completa sul prodotto finanziario e di valutarne l’adeguatezza rispetto al profilo dei clienti”.
La successiva condotta dei clienti, conclude la Corte, “non appare dunque in alcun modo idonea ad incidere retrospettivamente sulla valutazione del comportamento tenuto dalla banca e sulla gravità del suo pacifico inadempimento”.