Sovente i mariti separati devono lasciare la casa coniugale senza poter portare via i propri beni (magari appartenuti alla propria famiglia o acquistati grazie al proprio lavoro). Ciò in quanto, quando il giudice pronuncia il provvedimento di separazione, assegnando la casa familiare a uno dei due coniugi (di norma a chi abiterà stabilmente con la prole), attribuisce sempre l’appartamento insieme a tutti quei beni (mobilio, suppellettili, elettrodomestici) necessari ad assicurare l’ordinaria organizzazione della vita familiare, a prescindere da chi ne sia il proprietario.
Così facendo, la legge vuole garantire ai soggetti che rimangono ad abitare la casa coniugale (il coniuge e/o i figli) la continuità delle abitudini domestiche nel luogo che ha costituito – prima della separazione – l’habitat familiare.
Ovviamente i coniugi possono predisporre, di comune accordo, una lista di beni, specificandone l’effettiva titolarità o escludendone alcuni dal godimento dell’assegnatario della casa coniugale.
Per la Corte di Cassazione (sentenza n. 11276 dell’11 marzo 2013) è da considerarsi illegittimo il comportamento dell’ex coniuge non assegnatario dell’immobile che porti via oggetti o altri beni dalla casa familiare senza che vi sia stato uno specifico accordo in tal senso. In particolare, non solo, a seguito di un’azione in sede civile, egli dovrà restituire i beni al legittimo detentore (in virtù del provvedimento di assegnazione del Tribunale) ma, dinanzi ad una denuncia dell’ex, dovrà risponderne anche in sede penale del reato di appropriazione indebita.
Lo stesso principio, tuttavia, vale nel caso opposto: quello cioè in cui il coniuge assegnatario dell’immobile impedisca all’altro di ritirare i propri effetti personali dalla casa familiare. In tal caso, infatti, sarà il coniuge che rimane in casa a trarre un ingiusto profitto dal godimento di beni esclusi dalla titolarità personale, perché appartenenti all’altro.