I numerosi provvedimenti che si sono susseguiti a breve distanza hanno causato non poche incertezze circa i divieti e le conseguenti sanzioni. Alcuni provvedimenti continuano a destare non poche perplessità in termini di legalità e soprattutto di efficienza.

A differenza di altri Paesi (es. Inghilterra), manca, anzitutto, una disciplina legale su presupposti, contenuti e procedimento di applicazione della “quarantena” nei confronti di chi sia risultato positivo al Covid-19 o con lo stesso abbia intrattenuto “contatti stretti” la quale, per quanto limitativa di libertà costituzionalmente garantite, non appare tuttavia riconducibile ai trattamenti sanitari obbligatori sinora previsti nella legge sul servizio sanitario nazionale (articolo 35 legge 833/78).

A oggi, poi, la sanzione amministrativa, principale (da 400 a 3mila euro) come accessoria (chiusura dell’esercizio o dell’attività), non è prevista nel caso di violazione delle ordinanze urgenti e contingibili nel tempo adottate dal ministero della Salute, nonostante se ne disponga l’applicazione, sia pur in misura ridotta, anche alle violazioni commesse prima del 25 marzo sulla base di una norma transitoria in linea con gli orientamenti assunti dalla giurisprudenza costituzionale più recente (196/2010; 223/2018; 63/2019). Né, per quella pecuniaria, sono stabiliti criteri ad hoc per il pagamento in misura ridotta.

Quanto poi ai delitti di falso, l’applicazione dell’articolo 495 del Codice penale (anziché dell’articolo 483 del Codice penale), cui si rinvia nel modulo di autodichiarazione, potrebbe non rivelarsi così scontata, sia per il principio del nemo tenetur se detegere in virtù del quale ciascuno potrebbe legittimamente mentire per evitare contestazioni da parte dell’agente accertatore, sia perché riguarda solo gli stati, le qualità o i fatti elencati nell’articolo 46 Dpr 445/00 e non potrebbe pertanto estendersi, se non al costo di indebite analogie in malam partem, a qualsiasi ulteriore circostanza eventualmente invocata per giustificare uno spostamento o un’attività.

Dubbia, infine, nonostante i proclami governativi diffusi a margine del Consiglio dei ministri del 24 marzo, la configurabilità, se non in situazioni del tutto eccezionali, del delitto di epidemia colposa. Ciò in quanto le medesime forme di contagio del Covid-19, sebbene di per sé non estranee alla nozione di “diffusione di agenti patogeni”, non sembrano, almeno di regola, idonee a generare quella malattia contagiosa a diffusività incontrollabile in cui si fa tuttora consistere l’evento di fattispecie (Cassazione, sezione I, 48014/2019).

Quanto a “ogni altro più grave reato” dovrebbe comunque accertarsi l’effettiva causazione di un contagio per far scattare fattispecie di evento (lesioni o omicidio, dolosi o colposi) tali da determinare anche una responsabilità della società ex Dlgs 231/01 per infortunio sul lavoro, ove ad esempio non siano state attuate le misure di prevenzione concordate con le organizzazioni sindacali nel Protocollo del 14 marzo scorso.

Ma è soprattutto in termini di effettività che il sistema sanzionatorio rischia di non funzionare nel lungo periodo. Da un lato, infatti, tanto in sede penale quanto di contestazione dell’illecito amministrativo peserà, dal punto di vista oggettivo, l’indeterminatezza delle locuzioni con cui si esprimono gli elementi negativi fattispecie (“assoluta urgenza”, “situazioni di necessità”, “motivi di salute”, “comprovate esigenze lavorative”), come dimostra pure il continuo succedersi di chiarimenti a mezzo circolare del ministero degli Interni.

Dall’altro, ci si dovrà confrontare con situazioni di ignoranza o errore sul precetto che, nelle more del rapido succedersi degli innumerevoli provvedimenti emergenziali, degli esiti incerti o contraddittori delle “valutazioni di merito” o delle “verifiche caso per caso” comunque rimesse alle autorità competenti, potrebbe integrare gli estremi scusanti dell’inevitabilità in linea con le casistiche prospettate nella, ormai datata ma sempre attuale, Corte costituzionale 364/1988.

Ciò varrà a maggior ragione per la violazione degli obblighi di quarantena da parte di chi abbia avuto contatti stretti con casi conclamati di malattia infettiva, i quali potrebbero legittimamente dubitare sull’idoneità, per tipologia e durata, dei rapporti intrattenuti o persino non essere a conoscenza per causa a loro non imputabile della positività altrui.

La situazione anche a livello sanzionatorio è tutt’altro che chiara.