Commette il delitto di traffico di influenze illecite chi, fuori dei casi di concorso nei reati di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio o corruzione in atti giudiziari, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.

Nel nuovo reato di traffico d’influenze, dopo le modifiche della legge «spazzacorrotti», non trova più posto il riferimento esclusivo alla millanteria. Il perimetro del delitto è molto più ampio e chiaro di quanto in precedenza previsto dall’articolo 346 del Codice penale.

Sulla base di questa valutazione la Cassazione – con la sentenza n. 12095 della sesta sezione penale depositata ieri – ha annullato l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva considerato parzialmente illegittima la misura degli arresti domiciliari disposta nei confronti di un professionista che puntava a ottenere vantaggi per un proprio cliente dall’intervento di un mediatore presso la presidenza di una Regione.

Il tribunale aveva valorizzato soprattutto l’assenza di una vanteria da parte del mediatore e il fatto che il professionista era in grado di tenere contatti diretti con gli ambienti politici regionali, lasciando semmai spazio per un intervento cautelare sul piano della corruzione.

La Cassazione ricorda innanzitutto che il reato di traffico di influenze è destinato ad assicurare copertura anticipata a tutte le forme di programmata interferenza con l’attività della pubblica amministrazione. In questa prospettiva la legge n. 3 del 2019 (la ormai proverbiale «spazzacorrotti»), al posto del riferimento alla millanteria della precedente norma del Codice penale (articolo 346), considerato in qualche modo fuorviante, ha previsto all’articolo 346 bis «sia la relazione asserita, sia quella esistente, nel contempo dando alternativamente rilievo tanto alla vanteria, quale allegazione autoreferenziale di una specifica capacità di influenza, quanto allo sfruttamento di quella capacità», in funzione della promessa di denaro o di altre utilità come prezzo della mediazione illecita verso un soggetto qualificato o come remunerazione dell’esercizio da parte di quest’ultimo delle sue funzioni e dei suoi poteri.

La nuova fattispecie di reato, cioè, non ha come necessario fondamento la millanteria o vanteria, ma può concretizzarsi nel legame causale tra la promessa o corresponsione da un lato e lo sfruttamento della capacità di influenza dall’altro. Tanto più che quest’ultima rappresenta un dato per il quale non è necessaria una specifica illustrazione, ma costituisce il presupposto dell’accordo illecito o comunque della dazione.

La Cassazione sottolinea ancora che l’ipotesi del traffico di influenze è caratterizzata da una clausola di sussidiarietà per effetto della quale il reato sfuma ed è assorbito quando viene a configurarsi un vero e proprio accordo corruttivo da ricondurre alle ipotesi “classiche” del Codice, dalla corruzione semplice a quella in atti giudiziari. Va allora escluso il traffico d’influenze tutte le volte in cui il pubblico ufficiale è direttamente attratto nel patto, divenendone elemento chiave, come destinatario diretto o indiretto del denaro o di altre utilità.

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