Un figlio, se non autosufficiente dal punto di vista economico, deve continuare a ricevere il contributo al mantenimento anche se maggiorenne.

Ovviamente, come spesso accade, se il figlio maggiorenne abita con un dei genitori è il genitore collocatario a continuare a ricevere tale contributo al mantenimento.

Ci si chiede se sia legittimo da parte di un genitore il versamento del contributo direttamente al figlio maggiorenne.

La Cassazione ha affrontato il tema in un recentissimo provvedimento (ordinanza n. 9700 del 13 aprile 2021) affermando che non basta l’accordo tra i genitori separati e il figlio per autorizzare il padre a versare l’assegno, stabilito dalla sentenza di separazione come contributo al mantenimento del figlio, direttamente a lui anziché alla madre. Questo anche se il figlio è divenuto maggiorenne: serve comunque un provvedimento del giudice che modifichi le condizioni di separazione.

Si tratta di una decisione che sembra però discostarsi dalla linea tracciata dai precedenti della stessa Cassazione in tema sia di validità degli accordi sulle condizioni economiche della separazione non omologati dal giudice, sia di obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni.

Con l’ordinanza 9700/2021 la Cassazione ha inteso specificare come il mutamento del “beneficiario” dell’onere del mantenimento, individuato dalla sentenza di separazione nel figlio minorenne, non possa essere oggetto di un accordo tra le parti. I giudici negano di fatto ogni rilevanza agli accordi tra i genitori e il figlio, divenuto maggiorenne. Come attestato dalla Corte d’appello, «la circostanza che l’obbligato avesse versato direttamente l’assegno nelle mani del figlio, e che questo l’avesse poi effettivamente utilizzato per il proprio mantenimento, era irrilevante, in assenza di un mutamento, in sede giudiziaria, del titolo esecutivo», costituito dal provvedimento del giudice della famiglia.

La Cassazione, nel confermare questa soluzione, riconosce come «qualsiasi accordo, anche tacito, fra le parti non poteva avere l’effetto di autorizzare il debitore a versare l’assegno nelle mani del figlio, in assenza di un provvedimento giurisdizionale che avesse modificato, su istanza di quest’ultimo, le statuizioni contenute nella sentenza di separazione» e respinge come infondata ogni diversa considerazione.Infatti, per la Cassazione, «la determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli, da parte del coniuge separato, risponde a un superiore interesse di quelli, interesse che non è disponibile dalle parti. Sicché una volta stabilito, nel provvedimento giudiziale, chi debba essere il debitore e chi il creditore di quella obbligazione, tale provvedimento non è suscettibile di essere posto nel nulla, per effetto di un successivo accordo tra i soggetti obbligati».

Si attesta così la prevalenza degli aspetti formali (individuazione del creditore e del debitore) rispetto a quelli sostanziali (accordo fra le parti).

Esistono, come detto, decisioni diametralmente opposte.

La Cassazione ha, infatti, più di una volta affermato la validità degli accordi tra le parti, anche se non omologati dal giudice. A partire dalla sentenza 24621/2015 che, segnando un mutamento rispetto alla giurisprudenza precedente, ha sostenuto che le parti possono regolare aspetti patrimoniali ai margini del giudizio di separazione. Inoltre, la Cassazione penale, con la sentenza 5236/2020, ha escluso il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare al coniuge che si è attenuto agli accordi presi con l’ex modificando le prescrizioni della sentenza di divorzio.

Su un altro fronte, la giurisprudenza della Prima sezione della Cassazione sta riconoscendo, in capo al figlio divenuto maggiorenne, un sempre maggiore onere di autodeterminazione. Così, la sentenza 17183/2020 ha affermato che «è ormai acquisita la funzione educativa del mantenimento, in una con il principio di autoresponsabilità, anche tenendo conto dei doveri gravanti sui figli adulti». Di conseguenza, andrebbe anche valutato il comportamento del figlio maggiorenne che abbia avuto a disposizione una somma per il suo mantenimento e non abbia contribuito per quota parte al mantenimento della famiglia, finché conviva con essa. Come spesso accade, qualsiasi chiarimento interpretativo non può prescindere, a sommesso avviso di chi scrive, da una ponderata valutazione del caso concreto: la maggiore età non consente infatti automaticamente di sapere con certezza che il beneficiario dell’assegno userà il denaro davvero per il proprio “sostentamento”.