Un professore di un istituto tecnico era vittima, a scuola, di quattro gravi episodi di bullismo. Il docente citava avanti al Tribunale sia l’alunno, ormai divenuto maggiorenne, sia i suoi genitori, per ottenerne la condanna, in via solidale tra loro, al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali da lui patiti.

I convenuti offrivano 10.000 euro per chiudere la vicenda, ma il professore rifiutava.

Il giudice allora, proponeva una conciliazione ex art. 185 bis c.p.c., che prevedeva il pagamento a titolo di risarcimento di un importo – giudicato congruo da parte attrice, ma rifiutato dalla controparte – pari a 14.500,00 euro.

Il bullo ed i suoi genitori tentavano, pur maldestramente, di difendere le condotte illecite del ragazzo rappresentando una certa inadeguatezza educativa dei docenti, ritenuti, a dir loro, incapaci di andare incontro alle esigenze dello studente.

Il Tribunale nel ritenere meritevole di accoglimento la domanda del professore, ha ricordato i quattro episodi di bullismo lamentati dalla vittima ed ha sottolineato come due di questi, integrassero gli estremi del reato di violenza privata, ex art. 610 c.p., e di minaccia, ex art. 612 c.p., mentre gli altri due episodi configuravano il reato di ingiuria, ora depenalizzato, ma pur sempre autonomamente valutabile in sede civile, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.

Riconosciuta la responsabilità del giovane convenuto, ed il suo conseguente obbligo di rispondere personalmente delle condotte lesive poste in essere ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il Tribunale ha ravvisato una concorrente e solidale responsabilità ai sensi dell‘art. 2048 cod. civ. dei genitori che nei riguardi del figlio si pongono “in funzione educativa ed in posizione di garanzia“.

Il Tribunale ha riconosciuto, nella fattispecie, un danno morale, per il turbamento dell’animo causato dalle aggressioni fisiche e morali subite, e da liquidarsi in via equitativa, tenendo conto:

1) dell’entità ed intensità della violazione della libertà morale e fisica e della dignità della persona offesa;

2) del turbamento psichico cagionato, dedotto dalle forme con cui si è perpetrata l’aggressione;

3) degli effetti sul piano psicologico anche nel tempo;

4) dell’incidenza del fatto dannoso sulla personalità della vittima;

5) dell’intensità del dolo

La responsabilità dei genitori e l’art. 2048 cod. civ

Ai sensi del comma 1 dell’art. 2048 cod. civ., il padre e la madre – o il tutore – sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, abitanti con essi. Si ritiene che l’elencazione di tali soggetti, responsabili ex art. 2048, primo comma, cod. civ., abbia carattere tassativo e che, dunque, sia esclusa l’applicazione analogica della disposizione.

Con riferimento ai genitori, a rispondere degli illeciti commessi dal figlio minorenne sono non soltanto quelli “legittimi” ma, altresì, ex art. 27, L. 4 maggio 1983, n. 184, i genitori adottivi, nonché quelli “naturali” che abbiano riconosciuto i figli. Dubbi permangono, invece, in relazione a quelli che non abbiano proceduto al riconoscimento della prole.

Nell’ipotesi in cui tra i genitori sia intervenuta una separazione personale o un divorzio e il figlio minore sia stata affidato ad uno soltanto di essi – anche se ciò, ai sensi della L. n. 54/2006, costituisce una eccezione, rappresentando l’affidamento condiviso la regola generale -, ci si chiede se sia applicabile o meno l’art. 2048 cod. civ.

Sul punto si è affermato che la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, come previsto dall’art. 317 cod. civ. Pertanto, il genitore non affidatario mantiene una serie di poteri e doveri di vigilanza e controllo sia sull’attività del figlio che sull’operato del genitore affidatario. Si propende, quindi, per l’applicabilità dell’art. 2048 cod. civ. in quanto, avendo la norma una funzione di garanzia in capo ai genitori, gli stessi ne rispondono in virtù del loro status. Le argomentazioni contrarie, volte a negare la responsabilità del genitore non affidatario si basano sulla mancanza del presupposto della coabitazione. Un altro orientamento invece, circoscrive la responsabilità ex art. 2048 cod. civ., del non affidatario, solamente a quei periodi in cui il genitore esercita sul minore i poteri a lui riconosciuti dalla legge.

La responsabilità dei genitori o precettori ex art. 2048 cod. civ. concorre con la responsabilità del minore (Cass. civ., 26 giugno 2001, n. 8740): se il minore è capace di intendere e di volere, egli è direttamente responsabile del danno ingiusto posto in essere, secondo le norme generali della responsabilità civile. La responsabilità dei genitori e degli altri soggetti previsti dall’art. 2048, quindi, si aggiunge a quella del minore capace di intendere e di volere, ex art. 2043 cod. civ., configurandosi così una responsabilità solidale, con la conseguenza che la domanda di risarcimento può essere proposta sia contro i genitori sia contro il minore, autore dell’illecito. L’art. 2048 è, pertanto, una norma dettata a protezione dei terzi, esposti al rischio di un danno conseguente all’agire dei minori: la responsabilità prevista da questa norma nasce come responsabilità del minore verso i terzi e si estende ai genitori, tutori, precettori e maestri d’arte, in funzione di garanzia (Cass. civ., S.U., 27 giugno 2002, n. 9346).

La prova liberatoria si traduce nella dimostrazione di aver impartito l’educazione e l’istruzione consone alle condizioni sociali e familiari e di aver vigilato sulla condotta in misura adeguata all’ambiente, alle abitudini ed al carattere (Cass. civ., 19 febbraio 2014, n. 3964).

Il contenuto della prova liberatoria dipende dalle modalità stesse con cui è avvenuto il fatto: nel caso di illecito particolarmente grave o increscioso, l’inadeguatezza della educazione impartita e della vigilanza esercitata è desunta proprio dalle circostanze con cui si è verificato l’evento (Cass. civ., 6 dicembre 2011 n. 26200).

Si delinea, così, una responsabilità dei genitori di natura oggettiva, dal momento che il criterio di imputazione per l’illecito commesso dal figlio è, in pratica, correlato al loro status.

La precoce emancipazione dei minori, frutto del costume sociale, non esclude né attenua la responsabilità che l’art. 2048 cod. civ. pone a carico dei genitori, i quali, proprio in ragione di tale precoce emancipazione, hanno l’onere di impartire ai figli l’educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione, dovendo rispondere delle carenze educative a cui l’illecito commesso dal figlio sia riconducibile. Ad esempio, nel 2009 la Cassazione non ha dato alcuna importanza al fatto che un minore fosse prossimo alla maggiore età, posta la lettera dell’art. 2048 cod. civ. e l’inderogabilità dei doveri ex art. 147 cod. civ. “finalizzati a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di costante opera educativa, onde realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza” (Cass. civ., 22 aprile 2009, n. 9556).

La corretta lettura dell’art. 2048 cod. civ. ci suggerisce di affermare che il minore può adottare una condotta diversa da quella illecita per cui la copertura solidale dei genitori si giustifica con l’idoneità degli stessi ad evitarla, indirizzando i figli verso condotte socialmente corrette: attività di indirizzo da svolgersi non con la sola e mera vigilanza, ma anche con l’insegnamento educativo. Alla luce di questo, non è auspicabile, l’esonero dei genitori dalla loro responsabilità all’approssimarsi della maggiore età del figlio. Come pure, non è condivisibile l’opinione per cui non dovrebbe ammettersi la loro responsabilità “se il fatto è stato compiuto nell’ambito di quella sfera di libertà normalmente concessa al minore” (S. PATTI, Famiglia e responsabilità civile, Milano 1984, p. 248).

Gli illeciti che manifestano disprezzo per l’altrui dignità, salute o addirittura vita, come accade nel bullismo, sono consumati generalmente proprio nella fascia di età dove i minori godono di una libertà di cui non sanno fare buon uso e potenzialmente più idoneo per l’illecito, dove il minore necessita di una maggiore guida. Questo accade normalmente nell’età adolescenziale.

Si pensi all’uso dei social network e al loro potenziale di cui i minori non si rendono pienamente conto: in un recente caso di illecita circolazione di immagini intime per via telematica, il Tribunale di Sulmona ha condannato i genitori degli autori del gesto, stabilendo che la propagazione a catena, che aveva provocato nella giovanissima vittima un grave danno psicologico con ricadute sulla sua salute, manifestasse “di per se´ una carenza educativa degli allora minorenni dimostratisi in tal modo privi del necessario senso critico, di una congrua capacità di discernimento e di orientamento consapevole delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui. Capacità che avrebbero già dovuto avere in relazione all’età posseduta” (Trib. Sulmona, 9 aprile 2018).

A prescindere, comunque, dal fatto che possa imputarsi ai genitori una colpa, vera o presunta, l’eventuale reazione risarcitoria ricorderà loro tanto l’indispensabile esigenza della loro opera quanto i criteri minimi a cui informarla.

Essere genitori è una grande “responsabilità” e, oggi più che mai, bisognerebbe esserne consapevoli