La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12455 del 20 aprile 2020, ha affrontato il delicatissimo tema della responsabilità penale del “prestanome” o “uomo di paglia” nel reato di bancarotta fraudolenta.
La sentenza offre lo spunto per analizzare gli elementi tipici integranti la fattispecie del reato.
Il giudice, afferma la Cassazione, non può condannare il prestanome, amministratore di diritto della società, in presenza del ruolo preponderante svolto dall’amministratore di fatto della fallita, senza provare il dolo che caratterizza il reato.
La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza, accoglie sul punto il ricorso dell’”uomo di paglia” contro la condanna che era scattata malgrado l’assenza di prove relative all’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta delle scritture contabili. Una fattispecie per la quale è richiesto il dolo specifico, di recare pregiudizio ai creditori. Il reato in questione, ricorda la Suprema corte, è infatti autonomo e alternativo, rispetto alla fraudolenta tenuta delle scritture, ipotesi per la quale è richiesto invece il dolo generico e si presuppone un accertamento condotto sui libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari. I giudici di legittimità accolgono dunque il ricorso e annullano, per quanto riguarda la specifica doglianza, con rinvio alla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva infatti sbagliato a valorizzare solo il ruolo da prestanome, censurando l’imputato per non aver impedito le condotte dell’amministratore di fatto, vero gestore della società fallita. Circostanza che, aveva evidenziato la difesa poteva in caso integrare il solo profilo della colpa.