La Cassazione ha sottolineato che questo tipo di controllo è lecito in quanto non ha «ad oggetto l’attività lavorativa e il suo esatto adempimento, ma l’eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente» sospettato di chattare durante l’orario di lavoro mettendo così a repentaglio la sicurezza degli impianti ai quali è addetto e il regolare funzionamento dell’azienda.
Con queste motivazioni i supremi giudici hanno confermato il licenziamento per giusta causa di un operaio abruzzese addetto alle presse di una stamperia che si era allontanato dalla sua postazione per chattare per un quarto d’ora, non potendo così intervenire «prontamente» su una pressa bloccata da una lamiera che era rimasta incastrata nei meccanismi.
Orbene, per verificare con certezza le abitudini del dipendente, l’azienda aveva incaricato il responsabile del personale di creare «un falso profilo di donna su Facebook» per adescare l’operaio sospettato di violare le disposizioni aziendali sulla sicurezza delle fasi di lavorazione e degli impianti. Secondo il datore di lavoro questo tipo di accertamento non violava lo statuto dei lavoratori perché mancava «di continuità, anelasticità, invasività e compressione dell’autonomia del lavoratore».
Questo punto di vista è stato condiviso dalla Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 10955. Ad avviso dei supremi giudici sono tendenzialmente ammissibili i controlli difensivi «occulti» anche «ad opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo», purché le modalità di accertamento non siano «eccessivamente invasive» e siano «rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti».
Per la Cassazione, il falso profilo su Facebook «era destinato a riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti» e si è trattato di un «controllo difensivo» giustificato dal riscontro nei giorni precedenti della violazione da parte del dipendente della disposizione aziendale che vieta l’uso del telefono cellulare e lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di servizio».
Infine la Cassazione ha spiegato come anche localizzare il dipendente tramite il suo «accesso a Facebook dal cellulare» è una tecnica consentita – – «nella presumibile consapevolezza del lavoratore di poter essere localizzato attraverso il sistema di rilevazione satellitare del suo cellulare».