Molto di frequente sui social si assiste a discussioni che, a volte, degenerano in vere e proprie baruffe. Spesso, nella concitazione dello scambio virtuale di opinioni, alcuni partecipanti si lasciano andare ad espressioni colorite e volgari. Esiste un’erronea convinzione secondo la quale i commenti esternati via web sarebbero sostanzialmente scriminati; sussisterebbe una sorta di protezione data dal fatto di trovarsi da soli di fronte ad uno schermo di pc e non di fronte ad un interlocutore in care ed ossa. Ma così non è.
Il rischio è che le espressioni possano costituire il reato di diffamazione aggravata, punibile con la reclusione sino a tre anni o con multa.
La Cassazione, con la sentenza n. 17944 del 2020, ha stabilito che il reato si configura se le espressioni adoperate sono tali da gettare una luce oggettivamente negativa sulla vittima.
Scatta la diffamazione aggravata, ad esempio, per chi con un post visibile a tutti i suoi contatti, offenda l’ex accusandolo di non contribuire al mantenimento dei figli.
La persona diffamata può quindi costituirsi parte civile nel processo penale o rivolgersi direttamente al giudice civile per ottenere il risarcimento del danno morale da calcolare in via equitativa.
Se è vero che moltissime discussioni spesso arricchite da espressioni diffamatorie passano quasi inosservate, è pur vero che il web conserva traccia di quanto affermato.
Pertanto attenzione al contenuto dei propri post! Se non per educazione e rispetto (merci sempre più rare al giorno d’oggi) quantomeno per prudenza… !!!