Spesso l’avvocato si sente domandare dal cliente esasperato: “ma fino a quando dovrò mantenere mio figlio?”

 In effetti, capita non di rado che giovani ormai prossimi ai trent’anni decidono di rimanere nel comodo alveo della famiglia di origine millantando l’insormontabile difficoltà di trovare una occupazione adeguata.

 Il problema è che i giovanni hanno pretese ed aspettative spesso troppo elevate e poco aderenti alla realtà attuale.

Come si pongono i giudici di fronte a tali situazioni?

Se il lavoro ideale non arriva e il ventisettenne laureato non ridimensiona le sue ambizioni impegnandosi a cercare un’occupazione più modesta, rischia di perdere il mantenimento di papà. Lo puntualizza la Corte di Cassazione con ordinanza n. 29779 del 29 dicembre 2020.

Ad aprire la controversia è una madre: i giudici di appello, parzialmente riformata la sentenza di divorzio, avevano liberato l’ex marito dal pagamento dell’assegno per uno dei due figli ormai adulto e laureato. Decisione sbagliata, contesta la donna, non risultando provato che, benché maggiorenne, avesse raggiunto l’indipendenza economica. Ricorso bocciato.

La pronuncia impugnata, ad avviso degli ermellini, aveva correttamente riconosciuto il contributo soltanto in favore del figlio piccolo. Difatti, spiegano, se da una parte non era stato dimostrato che il grande fosse privo di entrate tali da garantirli la sua autonomia, dall’altra neppure era emerso che avesse «in tutti i modi possibili e ragionevoli, cercato soluzioni lavorative consone ed adeguate alle sue attitudini ed aspirazioni».

Del resto, già con l’ordinanza 17183/2020, la Suprema Corte aveva chiarito che la prole adulta conserva il diritto al mantenimento solamente se, una volta ultimato il prescelto percorso formativo scolastico dia prova – l’onere, quindi, è a suo carico – di un effettivo impegno a trovare un’occupazione «in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni».

Il contributo dei genitori, in buona sostanza, si giustifica all’interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e formativo tenendo conto delle capacità, inclinazioni e aspirazioni del figlio con portata circoscritta sia per il contenuto che per la durata «al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società». Si tratterà, dunque, di una valutazione da condursi con un rigore proporzionale alla crescente età della prole così che il dovere di sostentamento non sfori ragionevoli limiti di tempo e misura.

Diversamente, un’assistenza protratta all’infinito finirebbe per sfociare in «parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani» (Cassazione 12952/2016). Ragion per cui l’ordinanza 5088/2018 negò l’assegno al figlio avvocato iscritto all’albo e collaboratore nello studio legale del fratello. Ebbene, nella vicenda, non essendo emersa la prova di una particolare dedizione del ragazzo alla ricerca di un impiego che gli consentisse di sganciarsi dal portafogli di papà, la Cassazione non poteva che rigettare il ricorso materno.

Si conferma, così, il trend dei giudici – ribadito con pronuncia di legittimità 11186/2020 circa lo stop al mensile per l’universitario assunto part-time ma a tempo indeterminato – che invoca un cambio di passo contro gli eccessi di assistenzialismo sensibilizzando i figli maggiorenni all’autoresponsabilità.

Le indicazioni dei giudici

  1. Ridurre le aspirazioni

Il figlio ha diritto all’assegno solo se, a fine percorso scolastico, provi di essersi attivato per raggiungere l’indipendenza impegnandosi nella ricerca di occupazioni offerte dal mercato del lavoro anche ridimensionando aspirazioni

Corte di Cassazione, ordinanza 14 agosto 2020, n. 17183 

  1. Conta l’età e l’impegno

Perché cessi l’obbligo di mantenere la prole adulta si guarda l’età, il livello di competenza professionale e tecnica, l’impegno nel reperire un lavoro e la condotta tenuta dal raggiungimento dei 18 anni (Corte di Cassazione, sentenza 22 giugno 2016, n. 12952)

  1. L’inerzia colpevole

Il maggiorenne va mantenuto finché non sia autonomo purché non lo sia per inerzia o rifiuto ingiustificato.

Indice d’inerzia colpevole è la mancata autosufficienza in un’età in cui si è da tempo inseriti in società (Corte di Cassazione, ordinanza 5 marzo 2018, n. 5088)

  1. Ragionevoli limiti di tempo

Per il mantenimento ai maggiorenni, il criterio di rigore cresce in proporzione alla loro l’età, fermo restando che il diritto all’assegno non può protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e misura (Corte di Cassazione, ordinanza 10 giugno 2020)