La scrittura privata stipulata nel corso della separazione coniugale con la quale il marito afferma la comproprietà, con la moglie, di un immobile da lui acquistato 25 anni prima, non può servire a dimostrare l’esistenza di un collegamento fiduciario tra i due negozi. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza n. 3682, respingendo il ricorso della ex, in regime di separazione di beni, contro la sentenza della Corte di appello di Genova.

Secondo l’attrice invece l’atto di acquisto concluso nel gennaio del ’90, dopo cinque anni di matrimonio, era stato intestato soltanto all’ex marito “per motivi fiscali, pur provenendo il denaro corrisposto a titolo di prezzo dal conto corrente cointestato ad entrambi”. Successivamente, in forza di accordo contenuto nella scrittura privata del gennaio 2004, allorché tra i due era in corso il giudizio di separazione, il marito aveva riconosciuto la comproprietà dell’immobile, stabilendo di procedere all’alienazione del bene per dividerne il ricavato.

Per il giudice di secondo grado tuttavia nel caso specifico non poteva ravvisarsi né una interposizione fittizia di persona, come pure sostenuto dalla donna, mancando la prova della partecipazione del terzo alienante all’accordo simulatorio; parimenti era da negare, la configurabilità di un accordo fiduciario, stante il tempo trascorso tra l’acquisto, del 29 gennaio 1990, e la scrittura privata, dell’8 gennaio 2004. Del resto, non era stata provata neppure la provenienza del danaro dal patrimonio della ex moglie. Piuttosto, l’accordo del 2004, sempre secondo la Corte di Genova, “si collocherebbe nell’ambito della separazione coniugale, costituendo un autonomo contratto transattivo volto a regolare i rapporti patrimoniali tra le parti”.

Una decisione condivisa dalla Cassazione secondo cui correttamente i giudici di appello hanno dapprima negato la ravvisabilità di una interposizione fittizia di persona, che vedesse quale acquirente pro quota dell’immobile altresì la donna, “stante la mancata partecipazione all’accordo simulatorio, nella specie in forma scritta ad substantiam, del terzo contraente, il quale avrebbe dovuto dare la propria consapevole adesione all’eventuale intesa raggiunta tra interponente ed interposto” (Cass. n. 25578/2018) .

Inoltre, la sentenza ha negato la sussistenza del collegamento fiduciario tra i due negozi: l’uno, la compravendita del 29 gennaio 1990, che, nella prospettiva difensiva della ricorrente, aveva carattere esterno con efficacia verso i terzi; l’altro, la scrittura privata dell’8 gennaio 2004, che avrebbe avuto carattere interno ed obbligatorio, in quanto volto a riconoscere la natura fiduciaria della intestazione ed a modificare il risultato finale del primo negozio, sicché il fiduciario (marito) avrebbe cosi ritrasferito la metà dell’immobile alla fiduciante.

Piuttosto, conclude la Cassazione, secondo la ricostruzione di merito, la scrittura privata avrebbe costituito “un contratto autonomo“, con il quale l’ex marito aveva “riconosciuto” il cinquanta per cento della proprietà della moglie sulla porzione immobiliare in sua proprietà esclusiva. Dunque, la scrittura dell’8 gennaio 2004 “non avrebbe rivelato un effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario e perciò ricognitivo dell’interposizione (Cass. Sez. U, 06/03/2020, n. 6459), atteggiandosi, piuttosto, quale negozio traslativo posto in essere durante la crisi coniugale ed avente la propria distinta causa nell’intenzione dei medesimi coniugi di regolare i reciproci rapporti in vista della separazione”.