Tra le lesioni di interessi inerenti alla persona e non connotati da rilevanza economica viene in rilievo una voce di danno consistente in un particolare pregiudizio: il danno da perdita del rapporto parentale.

La giurisprudenza da molti anni affronta, con significativi mutamenti di indirizzo, il problema della risarcibilità di tale danno.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (la n. 7748 del 2020) ha statuito che per ottenere il danno parentale non occorre che dal decesso di un soggetto derivi un drastico cambiamento delle abitudini di vita dei parenti, in quanto è sufficiente che ci sia un malessere psico-fisico che possa portare a una malattia.

Alla base della vicenda un’incidente stradale tra un’auto (colpa al 70%) ed un motorino (colpa al 30%) con il decesso del guidatore di quest’ultimo.

I parenti, oltre ad aver ricevuto il risarcimento del danno materiale, avevano chiesto al giudice di merito anche il danno parentale.

La Corte di merito aveva precisato che perché fosse ipotizzabile il danno non patrimoniale occorreva un totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare «su cui si sono riverberate quali conseguenze gli effetti dell’evento traumatico subito dai familiari».

La Cassazione ha chiarito che dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale) che non necessariamente produce uno sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza che necessariamente provochi uno stravolgimento delle abitudini di vita. L’incidente stradale con conseguenze così gravi produce iure proprio un diritto al risarcimento. Accolto in definitiva l’appello dei parenti.