Processo penale da remoto dimezzato. Il giudizio “dematerializzato” come uscito dalla conversione del decreto Cura Italia viene già fatto oggetto di profonde correzioni dopo le osservazioni da parte dell’avvocatura. Ma la magistratura esprime il suo disaccordo. Nella bozza di decreto legge all’esame del Consiglio dei ministri di ieri sera infatti viene previsto che il collegamento da remoto per lo svolgimento delle udienze penali che il Cura Italia prevedeva come modalità ordinaria di svolgimento delle udienze non potrà applicarsi se non con il consenso delle parti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio.

Inoltre la modalità “video” sarà esclusa nelle udienze chiave per la formazione della prova, quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti.

Il ministero della Giustizia traduce così con qualche giorno di ritardo l’accordo politico saltato all’ultimo momento alla Camera la scorsa settimana e viene incontro alla netta ostilità che da subito l’avvocatura aveva espresso sull’utilizzo, su larga scala, delle modalità virtuali nel penale.

In un documento diffuso poche ore fa e firmato da Camere penali e civili si sottolinea come «è la difesa, nei processi penali, a dover accettare che il teste si trovi lontano dal giudice presso la Polizia giudiziaria, organo ausiliario del Pubblico Ministero; è l’imputato a essere costretto lontano dal giudice; è la parte a dover proporre le proprie argomentazioni da un luogo diverso dall’aula di giustizia, a giudici che non condividono più la contestualità e la segretezza della camera di consiglio. È il popolo a dover accettare che il processo sia segreto, rinunciando a ogni forma di controllo sociale».

Dove però l’affidamento alle parti della decisione sulle modalità di svolgimento vede l’Anm fortemente perplessa: «la soluzione di rimettere alla sola volontà delle parti la scelta della modalità da remoto per alcune attività, oltre a non considerare che il rispetto dei principi e delle garanzie è il primo scrupolo di ogni giudice che, ad esso, ispira l’esercizio del delicato potere di direzione del processo anche in tempi ordinari, impedirebbe ogni razionale programmazione di tali attività, perché non ancorata ad alcun presupposto oggettivo, con conseguente frustrazione non solo dell’efficienza dell’attività giudiziaria ma anche della tutela dei diritti dei cittadini».

In ogni caso, ma questo vale in materia civile, si prevede poi che anche quando l’udienza da remoto è possibile questa debba avvenire, oltre che con misure idonee a salvaguardare il contraddittorio, anche «con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario».

Nel decreto anche un impulso all’utilizzo del canale digitale per una serie di passaggi.

Sino al 31 luglio, con modalità che dovranno essere definite dal ministero della Giustizia, presso tutti gli uffici del Pm che ne faccia richiesta a norma del terzo periodo, è autorizzato il deposito con modalità telematica di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall’articolo 415 bis, comma 3, del codice di procedura penale.

Si tratta, per esempio, del risultato delle indagini difensive, delle richieste della difesa al pm per lo svolgimento di atti d’indagine, delle domande di interrogatorio.

Come pure il canale digitale può essere utilizzato, sempre fino al 31 luglio, da parte della polizia giudiziaria per la comunicazione alla pubblica accusa di atti e documenti d’indagine.