Mai come nelle ultime settimane gli italiani hanno dovuto fare i conti con una moltitudine di provvedimenti atti a disciplinare la situazione di emergenza corona virus.

Leggendo tali provvedimenti di emergenza adottati da Regioni o Comuni è emersa la presenza di contenuti nella sostanza spesso analoghi, ma non identici o addirittura apparentemente in contraddizione con quelli adottati a livello nazionale.

Prima che l’articolo 2 dell’ultimo decreto legge del 25 marzo facesse chiarezza in proposito, gli italiani si sono domandati se non ci sia una qualche “falla” nel sistema istituzionale che renda incerta o sbagliata la distribuzione delle competenze fra Stato ed enti territoriali. Ci si è chiesto, in sostanza, se manchi nel nostro ordinamento una clausola “di supremazia” che consenta allo Stato di sostituirsi alle Regioni nelle materie di loro competenza (come la sanità), o se manchi un’adeguata disciplina generale in tema di misure di emergenza.

In realtà, per restare al tema attualissimo della sanità, il sistema delle competenze costituzionali è abbastanza chiaro. La tutela della salute dal punto di vista legislativo è competenza “ripartita”, nel senso che spetta allo Stato fissare i principi fondamentali e alle Regioni la disciplina di dettaglio. 

Dal punto di vista amministrativo vale il principio di sussidiarietà, per cui la legge può affidare a organi di livello superiore le attribuzioni che non possono essere adeguatamente svolte a livello inferiore. Inoltre lo Stato ha delle competenze legislative esclusive in ambiti che, di fatto, possono interferire con quelli regionali anche prevalendo su eventuali norme regionali; e detta i «principi di coordinamento della finanza pubblica» per realizzare l’equilibrio economico complessivo e un’adeguata distribuzione delle risorse. Il Governo nazionale può anche sostituirsi agli organi delle Regioni o degli enti locali nel caso, fra l’altro, di «pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica» (art. 120 della Costituzione); e proprio nel campo della sanità ha negli ultimi anni “commissariato” alcune Regioni i cui bilanci non apparivano in equilibrio. Non c’è bisogno, dunque, di nuove “clausole di supremazia”.

Vero è che la legislazione ordinaria appare spesso difettosa per non avere disciplinato in modo generale, coerente e pienamente rispettoso della Costituzione, con adeguate leggi “quadro”, l’esercizio delle competenze nelle diverse materie, e lo Stato ha invece per lo più insistito nello stabilire norme di dettaglio un poco su tutte le materie, invocando volta a volta, e non sempre ragionevolmente, le sue competenze “trasversali” (come l’ordinamento civile, ritenuto comprensivo ad esempio della disciplina del personale regionale, o il coordinamento finanziario, utilizzato per “pilotare” la spesa regionale).

D’altronde non potrebbe ritenersi ragionevole che in una situazione come quella odierna una Regione pretendesse di stabilire, ad esempio, che vale nel suo ambito un elenco delle attività produttive sospese, o invece non sospese perché essenziali, diverso da quello stabilito a livello nazionale: quanto meno fino a quando non sussista una specifica situazione locale su cui intervenire. 

Questo non vuol dire naturalmente che le Regioni non conservino invece il potere-dovere di intervenire sempre, ciascuna nel proprio ambito territoriale, e anche nelle situazioni di emergenza, sul terreno della organizzazione dei servizi sanitari di loro competenza e delle loro modalità di azione. Inoltre, fermo il sistema delle competenze, nulla vieta e anzi è del tutto auspicabile che Governo e presidenti delle Regioni si concertino fra loro il più possibile al fine di adottare le iniziative ritenute più opportune. 

Regioni e Comuni sono rappresentanze delle comunità regionali e locali, e dunque è fondamentale che esse siano non solo destinatarie di “ordini” centrali.