Due genitori, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori, hanno convenuto in giudizio il Comune di residenza, in persona del Sindaco in carica, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2049 cc, in relazione al comportamento degli addetti ai servizi sociali, i quali – basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni di una maestra d’asilo che aveva sospettato molestie sessuali su una delle minori da parte del padre – avevano ottenuto dal Sindaco un provvedimento di allontanamento della minore dalla casa familiare e di affidamento al Comune, emesso ai sensi dell’art. 403 c.c. e ratificato il giorno successivo dal TM. Successivamente, a seguito di CTU, il Tm ha disposto il rientro a casa della bambina, allontanata per sei mesi dalla famiglia, senza che fossero emersi elementi compatibili con molestie sessuali o disturbi della personalità. In primo grado e secondo grado la richiesta risarcitoria dei familiari è stata accolta. Il Comune ha proposto ricorso per cassazione.

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso.

La Corte, in particolare, ha osservato che l’illecito addebitato al Comune non consiste nel fatto di avere emesso un illegittimo provvedimento di allontanamento di cui all’art. 403 c.c.; al contrario l’illecito attribuito dagli attori al Comune si fonda sulla responsabilità per il fatto per i suoi dipendenti, le cui condotte commissive ed omissive sono state ritenute gravemente colpose e lesive del diritto degli attori all’integrità ed alla serenità del loro nucleo familiare. Il Comune è stato chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c., sulla base di una fattispecie di responsabilità che gli è addebitabile oggettivamente, per effetto della condotta colposa dei suoi dipendenti, nell’esercizio delle loro specifiche incombenze.

Peraltro, non ha spiegato il Comune come mai non sia stata subito interessata della vicenda l’autorità giudiziaria, a cui spettava il compito di svolgere le opportune indagini per chiarire la situazione dei minori nei casi dubbi. Spiega la Corte che “ (…)il potere del Sindaco di intervenire direttamente sull’ambiente familiare ai sensi dell’art. 403 c.c. è previsto per i casi di “abbandono morale e materiale” ed in genere per situazioni di disagio minorile che siano palesi, evidenti o comunque di agevole o indiscutibile accertamento, al fine di adottare in via immediata i provvedimenti di tutela contingibili che si appalesino necessari. L’autorità amministrativa non ha invece poteri di indagine e di istruttoria sul singolo caso (…) e l’ente amministrativo deve in tal caso rivolgersi – ovviamente con la tempestività e l’urgenza del caso – alle istituzioni specificamente competenti in materia, quali il Tribunale per i Minorenni e se del caso il pubblico ministero (..)”.