L’assegno divorzile, se non è stato richiesto in sede di divorzio, può essere domandato successivamente, con il procedimento previsto dall’articolo 9 della legge 898/1970. Il giudice del merito, per decidere se attribuirlo e per quantificarlo, deve utilizzare i principi indicati dalla sentenza 18287/2018 delle Sezioni unite della Cassazione, ma applicando anche dei correttivi specifici. In particolare, va utilizzato il criterio assistenziale, compensativo e perequativo, con eventuale prevalenza di una delle tre componenti rispetto alle altre. La funzione assistenziale può diventare preponderante se il giudice di merito accerta che il sopravvenuto, e incolpevole, peggioramento della condizione economica di uno degli ex coniugi non può essere compensato da altri obbligati o da forme di sostegno pubblico e che l’ex coniuge, meglio dotato nel patrimonio, ha ricevuto in passato apporti significativi da parte di quello che poi si è impoverito ed è divenuto bisognoso di un sostegno alimentare.

È questo il chiarimento che arriva dalla Corte di Cassazione con la sentenza 5055 del 24 febbraio 2021.

La Corte si è pronunciata nel caso di una richiesta di un assegno divorzile in un momento successivo alla pronuncia di divorzio e quindi sulla base di una modifica della capacità reddituale dell’ex coniuge che chiede l’assegno, avvenuta dopo la definizione del giudizio di cessazione del matrimonio. In questo caso, per verificare il diritto all’assegno, i canoni da applicare sono senz’altro quelli che riconoscono il ruolo e il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex-coniugi, ma occorre porre la massima attenzione alla declinazione delle tre componenti essenziali dell’assegno, ovvero assistenziale, perequativa e compensativa.

In buona sostanza la sentenza 5055/2021 individua una vera e propria criticità nella determinazione della componente perequativo- compensativa nel giudizio di revisione dell’assegno divorzile, alla luce del passaggio del tempo dalla fine della vita matrimoniale. La Cassazione ricorda che la propria giurisprudenza ha già da tempo messo in evidenza la possibilità di attribuire alla funzione assistenziale una rilevanza prevalente in base al principio solidaristico di derivazione costituzionale, che fonda il diritto all’assegno di divorzio, così valorizzando la funzione sociale, che l’assegno divorzile assolve.

Nei casi di “sopravvenuta necessità” e quindi nel giudizio di merito di revisione, è necessario il rigoroso accertamento dei presupposti fondanti la finalità assistenziale, con carattere di prevalenza, parametrandosi la disparità economica (sopravvenuta) a una effettiva e concreta non autosufficienza economica dell’ex coniuge richiedente, non più in grado di provvedere al proprio mantenimento, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, in modo da poter escludere che sia stato irreversibilmente reciso ogni collegamento con la pregressa storia coniugale e familiare.

Il diritto dell’ex coniuge richiedente la revisione per stato di bisogno sopravvenuto può essere tutelato se si accerta che l’incolpevole peggioramento della condizione economica e di vita di uno degli ex coniugi non sia altrimenti suscettibile di compensazione per l’assenza di altri obbligati o di altre forme di sostegno pubblico. Inoltre, costituisce principio di diritto il fatto che la quantificazione dell’assegno divorzile dovrà tendenzialmente effettuarsi sulla base dei criteri previsti dall’articolo 438 del Codice civile (misura degli alimenti).

Le concorrenti condizioni, necessarie per riconoscere l’assegno che sarà parametrato alla misura del “quanto necessario per la vita” sono dunque:

1) l’effettiva e concreta non autosufficienza dell’ex coniuge istante;

2) il fatto che alla nuova situazione del richiedente non possano fornire ausilio strumenti alternativi di tutela per l’assenza di soggetti a ciò legalmente tenuti o per la mancanza di forme di sostegno pubblico;

3) la possibilità per l’altro ex coniuge di sostenere economicamente l’esborso dell’assegno e il fatto che abbia ricevuto in passato apporti significativi da parte del richiedente.